N. 7 – Luglio 2020
Continuità e appartenenza.
di A. Bislenghi
Mi pare opportuno, per almeno due motivi, concludere la serie dei testi dedicati alla presentazione dei progetti e dei programmi Unitre per il prossimo futuro e lo faccio con questo articolo, che analizza brevemente due concetti fondamentali della nostra associazione, anticipati nel titolo. Prima di illustrarvi il mio punto di vista, che come tutti i punti di vista è soggettivo ed opinabile, chiarisco i due motivi di cui sopra.
Prima di tutto non è bene indugiare eccessivamente su uno stesso tema. Se non si riesce a far comprendere al proprio ascoltatore – o lettore, come in questo caso – ciò che si sta esprimendo, vuol dire che il concetto non è bene espresso, oppure che il nostro interlocutore, purtroppo, non ci sta ascoltando. E se non ci sta ascoltando, forse è perché stiamo parlando troppo.
Il secondo motivo, non meno importante, riguarda la provvisorietà della carica che tanto io come i miei colleghi del Consiglio stiamo attualmente ricoprendo e che ci impone di non assumere iniziative che un domani potrebbero esserci giustamente contestate da coloro che dovranno guidare l’Unitre loanese nel prossimo futuro. Anche su questo tema mi sono già espresso chiaramente negli scorsi mesi e dunque non voglio ripetermi.
Parliamo allora di continuità. Da alcuni dati che mi sono stati forniti qualche tempo fa dalla signora Centenari, che all’epoca ricopriva la carica di segretaria, ho letto che ogni anno un terzo dei nostri iscritti si rinnova completamente. In altri termini, su trecento associati, circa un centinaio abbandona l’Unitre per essere sostituito da altrettanti nuovi iscritti. Il fenomeno, se da un lato è incoraggiante, perché dimostra che all’interno della nostra comunità ci sono circa cento persone che ogni anno, per i più vari motivi, si avvicinano all’Unitre, dall’altro è ugualmente sconfortante, perché significa che non si è stati capaci – e di nuovo per i più vari motivi – di trattenere tutti gli iscritti dell’anno precedente. Si verifica dunque, ogni anno, un ricambio massiccio, una sorta di emorragia che viene stagnata solo in parte dall’apporto di nuovi volti, tanto fra i partecipanti alle varie iniziative (corsi, laboratori eccetera), quanto fra i docenti.
Uno dei nostri mali era dunque – e lo è ancora – la mancanza di continuità. E’ comprensibile e giustificabile che in determinate circostanze – i cosiddetti “casi della vita” – ognuno di noi sia sospinto in una direzione diversa da quella che si era prefisso e che tali circostanze possano ostacolarci, se non impedirci del tutto di partecipare per quell’anno ad un corso che tanto ci avrebbe interessato. Così, per quell’anno, non rinnoviamo l’iscrizione. Questo è un grave errore, che produce all’associazione un danno immediato, perché la priva del suo principale sostegno, e un danno a lungo termine, perché ne riduce la credibilità al cospetto dell’intera comunità cittadina.
E da qui giungo direttamente al tema dell’appartenenza. Non ripeterò mai abbastanza – e non mi importa di apparire noioso o prolisso – che iscriversi all’Unitre non equivale a pagare una quota per avere in cambio un servizio. Significa considerarsi parte di un’associazione che a livello nazionale – quindi in tutta Italia – opera per mantenere vivo un certo modo di fare cultura, un certo modo di esprimersi, un certo modo di relazionarsi. Mi spiace tanto se la moda vorrebbe che tutti quanti ci sottomettessimo ai social e ad altre forme di intrattenimento e di scambio culturale. Io preferisco fare cultura con i libri, con la presenza, con il dialogo. E se per un anno il coronavirus mi impedisce di vedere i miei amici all’Unitre, pazienza: aspetterò. Ma resterò iscritto. Io appartengo all’Unitre e l’Unitre appartiene a me. E scusate la rima.